3406002377 viviana.terzi@gmail.com via Carlo Pescaria 37 - Bergamo
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Nelle professioni d’aiuto l’empatia è d’obbligo

L’empatia è la capacità di sentire e riconoscere le proprie ed altrui emozioni, senza ricorrere alla comunicazione verbale. Quando si parla di comunicazione spesso la si semplifica intendendo il contenuto del messaggio comunicato, ma, in verità, la comunicazione comprende, oltre al livello verbale (ciò che si dice), anche il livello non verbale (ciò che si trasmette attraverso gesti e postura) e il livello paraverbale (il modo in cui si comunica, come il tono di voce, il ritmo dell’eloquio e il volume).

L’empatia utilizza soprattutto le informazioni fornite dal livello non verbale e paraverbale. Queste informazioni creano una vera e propria attivazione neurologica: i neuroni specchio sono proprio quei neuroni che mettono in funzione le aree del nostro cervello corrispondenti alle emozioni che il nostro interlocutore prova.

L’empatia è una simulazione interna, che si attiva prima di una elaborazione cognitiva, ovvero si attiva a livello inconscio.

La competenza empatica è innata ed ha una funzione sociale, serve infatti per creare relazioni, ma durante la crescita di un individuo essa può ridursi o perfezionarsi in base al contesto sociale in cui la persona vive.

Nelle professioni d’aiuto è meglio non essere empatici? È meglio non sentire le emozioni altrui al fine di salvaguardarsi? È meglio essere distaccati per non farsi coinvolgere?

Queste sono domande che mi vengono poste spesso quando parlo del mio lavoro di psicoterapeuta.

Ritengo che nelle professioni d’aiuto l’empatia sia fondamentale: non possiamo davvero comprendere un dolore se manteniamo le distanze; il rischio che si correrebbe sarebbe quello di rendere tutti i dolori uguali, perdendo l’unicità della persona, cadendo in banalità e stereotipi.

L’operatore – psicoterapeuta nel mio caso – deve sintonizzarsi sulle emozioni dell’utente. Nelle professioni di aiuto “ascoltare” significa proprio “sintonizzarsi” per essere utili.

Un percorso di psicoterapia ha il suo fondamento nella relazione emotiva con il paziente, come potrebbe esistere questa relazione se tra i due ci fosse troppa distanza?

Il dilemma del porcospino di Schopenhauer, metafora dei rapporti interpersonali, contenuta in “Parerga e paralipomena”, volume II, capitolo XXXI, sezione 396, ci aiuta a capire cosa si intende per “giusta vicinanza”:

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. 

Così come la distanza non permette la comprensione, anche una eccessiva vicinanza può arrecare dolore e sofferenza nell’operatore che finirebbe con il “sentire troppo”, con il sentirsi sopraffatto da un dolore che diventa suo pur non essendolo davvero.

La formazione tecnico-specialistica delle professioni d’aiuto deve andare di pari passo con l’allenamento all’empatia e con il sentire le emozioni altrui riuscendo a gestirle, senza esserne fagocitati. Solo così – con la giusta vicinanza – si può essere veramente d’aiuto.

Dott.ssa Viviana Terzi

Photo by Harli Marten on Unsplash

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